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martedì 10 febbraio 2009

Intervista a MARCO OTTANELLI


contributo del blog Chiarelettere dell' 11 febbraio 2009

di Matteo Fallica

Visti gli avvenimenti degli ultimi giorni, e vista anche la tensione istituzionale e le minacce all’integrità della nostra Democrazia, ci sembrava giusto chiedere un parere ad un cittadino ben informato, un giornalista che potesse rispondere ad alcune nostre domande e ad alcuni nostri dubbi. Ecco l’intervista a Marco Ottanelli, giornalista di Democrazia e Legalità e autore del libro inchiesta sul lodo Alfano “Auto Immuni”.

Per quanto riguarda gli avvenimenti di questi ultimi giorni, è eccessivo parlare di prove tecniche di dittatura? Se non lo è, perché?

Devo necessariamente dilungarmi. Non parlerei di “dittatura” nel senso tecnico del termine. Parlerei di deformazione e travalicamento del nostro ordine costituzionale. Il che può essere altrettanto grave, ma non è la stessa cosa. Impariamo a distinguere per non cadere in confusione. Qualcuno potrebbe dire (e ha detto) che siamo davanti ad un colpo di Stato. Ma un “colpo di Stato” non è necessariamente dittatoriale. Può accadere che un colpo di Stato possa addirittura portare ad una estensione della democrazia. E’ capitato in decine di nazioni ex coloniali, e, a ben vedere, di questo si è trattato in Italia il 25 luglio 1943: un golpe del Re, che portò alla riabilitazione dei partiti politici! Quindi non di dittatura vedo il pericolo, quanto di mutamento sostanziale della nostra Costituzione. Sovvertire i rapporti tra poteri dello Stato e riformare il potere di iniziativa legislativa del Governo non è un atto dittatoriale, ma un serio colpo (questo significa la parola golpe) rispetto a quanto stabilito nella Carta del 1948. E’ un modo di agire più rivoluzionario, che dittatoriale. Oltretutto, la controprova che non siamo davanti ad una dittatura, sta nell’atteggiamento dell’ opposizione: dopo aver gridato alla fine della democrazia, l’UDC ed una parte del PD (compreso un dirigente come Letta) si apprestano a votare sì al disegno di legge di Berlusconi che ricalca il decreto legge “golpista” del giorno 6 febbraio. Tolta la forma, rimane la sostanza: per l’opposizione, in fondo, Berlusconi ha ragione, e riceverà il loro spontaneo e democratico consenso.
Esiste una dittatura ove l’opposizione contribuisce volontariamente alla vittoria sostanziale del dittatore? No. Non si contestano al Governo le scelte, la qualità delle scelte, ma solo il modo un po’ bizzarro con il quale le presenta.
Tutto questo ci sta spingendo, dunque, verso un altro modo di governare, un altro modo di gestire i rapporti con il Parlamento, un altro modo di modificare il concetto di libertà individuale. Lungo questa strada, presto ci troveremo fuori dalla cornice costituzionale precedente. Sarebbe la vera “seconda Repubblica”. Sta a noi scegliere se fermarci oppure cambiare fino a questo punto. Nessuno, per adesso, ci impone una delle alternative.

Berlusconi ha definito la costituzione “filosovietica”. E in questo periodo tutto ciò che non è in linea con il pensiero del Governo viene demonizzato e etichettato come “comunista” e “sovversivo”. E’ davvero tutto così demoniaco? O forse è il contrario?
Dobbiamo essere precisi. La frase esatta di Berlusconi è questa: la Costituzione venne elaborata con “la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come un modello”. E’ contemporaneamente una verità incontrovertibile ed una clamorosa imprecisione che sfiora la menzogna. Che i comunisti togliattiani fossero influenti, in Assemblea Costituente (ma quale tavolo!) è innegabile. Che guardassero all’URSS e che Togliatti ed il gruppo dirigente fossero strettamente legati, anche da rapporti di amicizia con Stalin e la sua cricca, è altrettanto vero. Che il loro ruolo ed il loro peso nelle decisioni più importanti sia stato fondamentale, è una realtà di fatto. Ma su cosa e come agirono, non scherziamo nemmeno: dalla approvazione dell’art. 7 (il concordato), al ruolo di forza del Governo, alla limitazione delle garanzie e controlli esterni a partiti e Parlamento (il famoso “primato della politica”, che D’Alema rispolverò negli anni ‘90), il PCI si trovò più spesso alleato con la DC che non con Socialisti ed Azionisti, le vere forze progressiste e laiche dell’Assemblea. Molti articoli e commi che sono comunemente attribuiti ai comunisti, furono invece elaborati e introdotti dalla corrente sociale della DC (penso a La Pira, ad esempio). Il comma 1 dell’art. 1, “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” lo scrisse Amintore Fanfani!
In realtà, il modello al quale si ispirarono i nostri costituenti, fu la Carta della Quarta Repubblica Francese, che era in discussione nello stesso periodo. Berlusconi non sa cosa dice, quando si lamenta dell’influenza comunista nella Costituzione. Senza il PCI, ora avremmo uno Stato laico serio, i criminali di guerra fascisti in galera e non amnistiati, i comitati partigiani e popolari a co-gestire la cosa pubblica, un controllo esterno su bilanci e regolarità di elezioni delle Camere, una disciplina della responsabilità dei partiti, e tante cose di quelle che il PDL vede come il fumo negli occhi.
Sul perché Berlusconi insista nel definire “comunista” tutto ciò che gli è contrario, ci sono due ordini di spiegazioni razionali (più una miriade di irrazionali). La prima sta nella vecchia tecnica di individuazione del nemico, della sua definizione, semplificazione, riduzione ad un unico termine (una offesa). E con gli italiani, così storicamente divisi fra due chiese (quella del conclave e quella del politbiuro), è stato semplicissimo raggiungere l’obiettivo di demonizzare l’altro. E’ bastato ripetere ossessivamente un epiteto identificativo. La seconda spiegazione sta nel complesso di inferiorità e di colpa che gli ex comunisti provano davvero. Nulla ha più effetto del rimarcare un difetto devastante per chi ne è afflitto e ne prova vergogna. Gridare “cicciona” ad una ragazza sovrappeso la può portare alla disperazione. Ogni volta che Berlusconi grida “comunista!” ad un piddino, quello corre a giustificarsi, a negarsi, a spiegarsi, ad abiurare. Veltroni è stato iscritto al PCI da quando era adolescente (eletto consigliere comunale nel 1976!), e recentemente ha dichiarato orgogliosamente di non essere mai stato comunista! (Per chi e per cosa, allora, ha fatto campagna elettorale per 40 anni?). E dopo l’abiura, cercano sempre una intesa, un dialogo, un tavolo delle trattative, un governo di larghe intese. Sono un bersaglio troppo facile per non approfittarne. Ovviamente, niente è così demoniaco: si tratta semplicemente di differenti opinioni e scelte. Ma vogliamo mettere il divertimento?

Quanto secondo te i rapporti governo-vaticano influenzano le decisioni e le affermazioni della politica, e soprattutto del premier, in merito al caso di Eluana?

Direi al 100%. Né il Vaticano né il Governo ne hanno fatto mistero: su Eluana Englaro e sul testamento biologico le decisioni, le strategie, le norme sono state prese e scritte oltre Tevere. Ciò è terribile e degradante, ma non è affatto una novità. Le scelte più importanti della vita politica italiana sono sempre state prese dopo contatti con la Curia o con il Pontefice in prima persona. Pio XII volle decidere delle alleanze per le comunali di Roma e, dopo un duro scontro, De Gasperi ebbe la forza di dire di no. Bei tempi, perché da allora in poi, abbiamo collezionato solo tanti servilissimi sì. Tutti i Presidenti del Consiglio hanno avuto il beneplacito del Papa, prima della loro nomina. Per le elezioni dei Presidenti della Repubblica, la DC attendeva sempre le istruzioni del Santo Padre. Durante i tormentati scrutini per l’elezione di Saragat, nel 1964, alcuni democristiani dissidenti manifestarono la loro rabbia verso gli accordi presi tra le maggiori correnti del partito e il Vaticano votando sarcasticamente per il senatore Ludovico Montini, fratello di Paolo VI. Prodi è stato individuato come leader dell’Ulivo da una convergenza di potentati cattolici facenti capo al cardinale Martini e coordinati da Andreatta, con il diretto interessamento del banchiere Bazoli. Nessuna legge che possa anche lontanamente interessare gli interessi vaticani viene approvata se non riceve il via libera della Chiesa. Piero Fassino (febbraio 2006) ebbe a dichiarare a Giuliano Ferrara la seguente agghiacciante verità: “nella passata legislatura, abbiamo approvato 4 leggi: pedofilia, legge sulla violenza sessuale, adozioni, adozioni internazionali; leggi approvate all’unanimità e sa che le dico? su queste leggi abbiamo discusso anche con oltreTevere, con Ruini o chi per lui.” Così, come se fosse legale, e logico e giusto che uno Stato sovrano chieda consiglio a vescovi e cardinali su come legiferare su stupro, adozioni e violenze sui bambini. Come se fosse costituzionale che una legge si formi fuori dal Parlamento, un ddl fuori da Palazzo Chigi. E’ noto, quasi inutile dirlo, come la Città del Vaticano abbia imposto norme a suo favore (fondi per le scuole confessionali, esenzione da ICI ed altre tasse, salvacondotti giuridici per i suoi esponenti) e abbia altresì messo un invalicabile veto su riforme e provvedimenti nel campo dell’etica, della scienza e dei diritti (veto su “divorzio breve”, sulle staminali, sulla fecondazione eterologa, sulle coppie di fatto, sui diritti degli omosessuali, sulla parificazione dei figli nati fuori dal matrimonio, sui contraccettivi, e persino sulla terapia del dolore e sulla analgesia epidurale durante il parto). Inutile negarlo: con la servile e prona accondiscendenza di tutti i partiti di centrodestra e centrosinistra, su certi temi, comandano loro, i preti. Su tutti gli altri, contano comunque qualcosa.

Con il pacchetto sicurezza appena varato i medici potranno denunciare i clandestini. Come potremmo definire una norma che ricorda così tanto gli inizi delle discriminazioni contro gli ebrei nella seconda guerra mondiale?

La potremmo definire vigliacca, perché non obbliga alla denuncia, ma elimina l’obbligo di non farlo. Raffinato e sottile. Magnifico e cinico manifesto del panleghismo postdemocristiano. Le leggi sulla discriminazione razziale in Italia cominciano ben prima della guerra. Del 1938, già in vista del conflitto, sono quelle atroci contro i cittadini di religione (di “razza”) ebraica. Del 1935-36 quelle meno famose ma altrettanto infami verso i neri, gli arabi, i popoli coloniali in genere. Ma è dai primi del ‘900 che in Eritrea vigono norme che discriminano i locali e che impediscono, ad esempio, un regolare matrimonio tra bianchi e indigeni. Insomma, il terreno di coltura era ben stabilizzato. L’aspetto più devastante di questa norma vigliacca sta nel suo confermare, ribadire, piantarci a martellate nelle nostre comuni convinzioni che il problema “sicurezza” (o insicurezza) coincida, sia l’equivalente, di “immigrazione”. La prima è un fattore relativo ai crimini e alle violazioni del convivere civile, la seconda è un fenomeno umano di tutt’altra portata. Solo una profonda e diffusa ignoranza può identificare l’una cosa con l’altra.
Sarebbe però ingenuo ignorare due cose: il grande consenso dei quali simili provvedimenti godono tra moltissimi cittadini, e l’effettiva e spesso violenta presenza di clandestini socialmente pericolosi nelle strutture mediche pubbliche. Basta recarsi in un qualunque pronto soccorso notturno per verificare di persona l’alto numero di loschi personaggi che spesso si presentano dopo risse e regolamenti di conti. Come al solito, invece di tentare di risolvere il problema alle origini (legalità diffusa), il governo fa leva sulla rabbia popolare e l’esasperazione di qualche operatore medico che ne ha viste fin troppe.

Berlusconi ha nelle sue mani un potere enorme: tutte le televisioni. Credi possa essere decisivo nel manipolare il pensiero della maggior parte degli Italiani?
Berlusconi ha nelle sue mani un potere enorme: un consenso spontaneo degli italiani che ha resistito a 15 anni di politica attiva, a ben cinque elezioni, e alla alternanza di governi vari. Berlusconi gode della eredità che le forze che con lui hanno lavorato, fatto affari, fatto politica dagli anni ‘70 in poi hanno deciso di lasciargli. Berlusconi gode del potere che gli deriva dall’essere l’espressione forse più riuscita della parte preponderante dell’italianità.
Poi, dopo, ha anche le televisioni. E non è cosa da poco, dato che le difende con le unghie e con i denti. Perché le TV non sono uno strumento (o almeno, non sono l’unico e definitivo strumento) per manipolare il consenso o addirittura il pensiero degli italiani. Ne sono più la tragica cassa di risonanza di miserrime speranze, grottesche aspirazioni, piccole crudeltà, sogni mostruosamente proibiti.

Infine, sembrano esserci davvero poche speranze per la nostra democrazia. Cosa possiamo fare?

Le speranze per la nostra democrazia sono direttamente proporzionali alla ampiezza del nostro senso civico. Se esso non si sviluppa, c’è ben poco da fare contro populismi, semplicismi, e fanatismi. Abbiamo bisogno di grandi riforme sociali e di forte progresso civile. Non possiamo pensare che la soluzione di tutto sia arrestare i corrotti e punire i cattivi. Dobbiamo puntare ad un rispetto condiviso delle regole, soprattutto, ma non solo, nella gestione della cosa pubblica, e al rafforzamento dei diritti civili per tutti. Guardiamo l’Italia degli ultimi anni: anatemi, grida continue di golpe golpe, delegittimazione totale di ogni organo democratico di garanzia (gli ultimi attacchi della piazza sono stati, significativamente, contro CSM e ANM in blocco, sotto l’incredibile slogan “è peggio del fascismo”). Chi è contro la guerra è amico di Bin Laden, chi fa rispettare una norma è amico dei golpisti. Si è perso il senso della misura, se mai lo si è avuto. Si continua ad insistere per una arida legalità, fatta di pene atroci ed eterne, e se un condannato al 41 bis viene riconosciuto meritevole di vedere il suo regime allentato, ci si straccia le vesti dei martiri e se ne chiede la lapidazione. Alla civiltà giuridica (da toscano, mi vanto della abolizione della tortura leopoldina del 1786) si preferisce l’accanimento della vendetta.
D’altro lato, le unioni civili (un atto d’amore) sono presentate come la fine della famiglia, la libertà religiosa e di pensiero come arbitrio sovversivo, l’ecologia come una jattura, il progresso come caos.
Ecco, il progresso, il progredire. Se la democrazia non cresce, espandendosi, oltre che verticalmente (dal Capo di Stato al cittadino), anche orizzontalmente nei confronti di tutti, in modo che, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, ogni cittadino abbia pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, se non contribuiamo a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, ebbene, se la nostra democrazia non si espande, essa degenera e muore.

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